I social media possono essere una distrazione sul lavoro, ma non sempre sono una cosa negativa. Aiutare i dipendenti a utilizzare le piattaforme social per fare network e imparare da altri professionisti del settore può renderli più produttivi e tradursi in un beneficio per l’azienda.

Che si tratti di Facebook, Instagram, Twitter, Linkedin, Snapchat o Reddit, ci sono buone probabilità che i dipendenti spendano una parte delle lore ore lavorative su almeno uno di questi social network. Prima di installare filtri web a livello aziendale per impedire l’accesso ai social, tuttavia, ci sono alcuni aspetti da considerare sulle abitudini dei dipendenti sui social media.

I social media sono oggi più accessibili che mai e i datori di lavoro possono sfruttarli per il bene dell’azienda”, dice Tisha Danehl, vice presidente di Ajilon Professional Staffing. “Se una società ha una politica chiara riguardo l’uso dei social media sul luogo di lavoro e comunica le sue regole in modo efficace, non dovrebbe essere necessario bloccare i siti, perché i dipendenti rimarranno produttivi e concentrati sui loro compiti”.

I social media possono certamente avere effetti negativi sul posto di lavoro. Pew Research, per esempio, ha intervistato oltre 2.000 adulti americani sulle loro abitudini “social” in ambito lavorativo e il 56 per cento degli intervistati ha dichiarato di sentirsi distratto dai social media rispetto al lavoro che deve svolgere. Tuttavia, se gestiti correttamente, i social media possono portare dei vantaggi in ambito lavorativo, senza interferire con l’attività quotidiana e anche aumentando il coinvolgimento dei dipendenti.

Un confine sempre più sfumato tra vita privata e professionale

Secondo Danehl, grazie a siti come Facebook il confine tra ambito personale e lavorativo è sfumato. Da uno studio condotto da Ajilon è emerso che il 51 per cento degli intervistati è collegato con il proprio capo su qualche piattaforma social, il che può portare a un mescolamento tra lavoro e vita personale. Danehl sottolinea che questo può portare anche a situazioni difficili, per esempio nel caso in cui un dipendente sia urtato da ciò che stanno postando altri colleghi, che si tratti delle elezioni in corso o semplicemente di un’opinione con cui non si trova d’accordo.

Nell’indagine di Ajilon il 24 per cento degli intervistati ha dichiarato di aver pubblicato sui social media un post negativo riguardo al lavoro, il 5 è arrivato a lamentarsi del proprio capo e un altro 5 per cento ha detto che si è lamentato di un cliente. Danehl sottolinea che situazioni come queste, in cui un dipendente sfoga le sue tensioni lavorative sui social media, possono degenerare rapidamente o causare scontri interni.

Deborah Cohn, professore associato presso la NYIT School of Management, sottolinea che la cultura dei social media può rendere la vita difficile a coloro che preferiscono po’ di privacy. “I social media possono diventare stressanti per le persone che vogliono mantenere separata la vita privata da quella professionale”, spiega Cohn. “Questi lavoratori potrebbero sentirsi sotto pressione nell’accettare richieste di amicizia dai colleghi su piattaforme che preferirebbero riservare alla loro vita al di fuori del lavoro”.

Linee guida per i social media

Se si vuole evitare una perdita di professionalità a causa dei social media, “è necessario creare nella propria azienda delle linee guida”, dice Danehl. “La politica sui social media è considerata una parte della vostra cultura aziendale, il che significa che deve essere parte della formazione del personale e non deve essere data per scontata”. Dallo studio di Ajilon è emerso, infatti, che il 16 per cento degli intervistati non era a conoscenza della posizione della propria azienda sui social media.

Avere una linea guida può anche “proteggere l’azienda da eventuali problemi legali”, aggiunge Paul Menes, Co-Head of Entertainment and Digital Media presso ADLI Law Group. Una buona politica deve delineare con chiarezza quello che è considerato adeguato, ciò che non è appropriato, quali sono le conseguenze per non rispetta la politica aziendale sui social media. “Bisogna anche assicurarsi che ogni dipendente legga e firmi il documento”, dice Menes.

E gli aspetti legali riguardo le restrizioni sull’uso dei social media in ambito lavorativo vanno in entrambe le direzioni: le aziende devono essere consapevoli di ciò che possono legalmente bloccare. “L’azienda può incorrere in violazione delle leggi locali se blocca l’accesso ai social media, soprattutto se consente o incoraggia i dipendenti a utilizzare i loro dispositivi personali per scopi professionali”, spiega Menes.

Regolamenti e leggi sui social media possono variare da Paese a Paese, come sottolinea Arthur V. Lambert, partner di FisherPhillips, nel suo articolo su Law360. Per esempio se si guarda il profilo social di un candidato durante il processo di assunzione si potrebbe essere accusati di discriminazione, ma l’articolo sottolinea che avere il giusto linguaggio nella propria politica aiuta a proteggere l’azienda – e i dipendenti – nel caso sorgano problemi.

Il lato positivo dei social media

Se la pausa caffè è incoraggiata come momento di aggregazione, i social media possono essere visti nella stessa luce. Pew Research ha rilevato che il 40 per cento dei dipendenti di aziende in cui non ci sono restrizioni sui social media li usano nei momenti di pausa dal lavoro.

Lo studio ha anche riscontrato che social media vengono usati tanto per motivi personali quanto per motivi di lavoro. Tra coloro che usano i social media per scopi legati al lavoro, il 71 per cento ha dichiarato di apprezzarne l’uso per rimanere in contatto con i colleghi, il 56 sostiene che sono un mezzo per mettersi in contatto con esperti del loro settore e il 46 per cento li usa per trovare informazioni di cui ha bisogno. In ultima analisi, il 56 per cento di questo gruppo ritiene che i social media abbiano contribuito a migliorare le loro prestazioni di lavoro e solo il 22 ritiene che abbiano influito negativamente.

I dati suggeriscono che, anche se i social media possono portare qualcuno a essere poco produttivo, è possibile creare una cultura che ne incoraggia l’uso per scopi professionali, come la creazione di reti, la creazione di brand awareness o la ricerca e la condivisione di informazioni innovative relative al proprio settore.

Inoltre, le aziende devono rimanere competitive per attrarre e trattenere i migliori talenti”, conclude Danehl. “Proibire qualcosa che altre aziende non solo permettono, ma utilizzano a proprio vantaggio, può essere scoraggiante per i propri dipendenti”.

Notizia prelevata da Computerword magazine